mercoledì 29 dicembre 2010

Pre-testo per una breve riflessione sull'atto fotografico.

Scrivere con la luce - fotografare – nell’era digitale comporta una profonda revisione dello statuto ontologico della fotografia, qui intesa nella sua complessità di fenomeno tecno-sociale. Possiamo, infatti, affermare che il nostro rapporto con lo strumento, tra questo ed il proprio soggetto-mondo siano rimasti i medesimi tra il prima analogico e il dopo digitale? Certamente no. La svolta, nel mutamento di paradigma, risale a non molti anni fa e la trasformazione indotta nel sistema di produzione dell’immagine meccanica è definitiva ed irreversibile, nonostante le resistenze  dei puristi, dei nostalgici e dei neo-luddisti. Con ciò, non si vuole misconoscere il valore culturale ed economico espresso dalla estinta filiera della fotografia analogica che, peraltro, prosegue ancora le sue manifestazioni, ma confinata in una nicchia sempre più esigua di aristocratici cultori, quasi sempre spalleggiati da una pervicace astuzia mercantile. Anzi, se ne vorrebbero valorizzare ancor più le potenzialità espressive, le contaminazioni e le declinazioni che il linguaggio fotografico ha assunto e fatto propri nei tempi più recenti. Il come non ha nulla di arcano od esoterico, semplicemente riconosce il portato innovativo e liquido  della materia digitale, di cui sono composte ormai tutte le cose che – dalle più semplici alle più complesse – abitano e fanno vivere il nostro Mondo. E’ indicativo, a tal proposito, il fenomeno della virtualizzazione generalizzata o globale che, in un flusso ininterrotto di bit, avvolge e stravolge l’assetto identitario di Sistemi, Organizzazioni, di relazioni e di azioni individuali. La fotografia analogica e le regole che ne governarono la diffusione oltre la pratica ritrattistica, non è più attivabile, se non in ambiti di conservazione degli archivi o nel ristretto ed elitario nucleo di attivisti della stampa di Fine-Art ai sali d’argento. Un nuovo Mondo di immagini senza materia, senza tempo e senza memoria occupa il presente di chiunque produca gesti di comunicazione. L’occhio che registra con un click si trova nelle tasche di tutti. Una protesi necessaria per stare nel mondo: il telefono cellulare; è proprio dalle sue più evolute performances che si srotolano volumi di incommensurabile materia digitale, per lo più di consistenza fotografica. L’alto grado di connettività reticolare tra le applicazioni software – è evidente che ci troviamo nel dominio dell’Information Technology – e di interconnessione tra ricetrasmettitori hardware, produce quell’illusione di ubiquità cui spesso siamo incapaci di sottrarci, subendone il fascino subliminale. Fatto sta, comunque, che lo scenario entro cui agisce la socialità contemporanea è quello della comunicazione diffusa e permanente rappresentata, con sempre maggiore influenza regolatrice, dai cosiddetti Social Networks. Lo si voglia o meno, la condizione antropologica dell’umanità “globale”– quel segmento privilegiato che può permetterselo – avrà un carattere ibrido e neutro, derivato dalla simbiosi con lo strumentario tecnologico. In questo quadro, la nuova fotografia, quella che ha cambiato pelle e sostanza, passando dal trattamento chimico delle emulsioni sensibili in camera oscura, al trattamento computerizzato delle informazioni raccolte dal sensore della fotocamera, sperimenterà potenzialità linguistiche inimmaginabili in epoca antecedente. La materia dell’immagine è ora composta da entità immateriali, segnate da codici illeggibili alla mente comune, ma eseguibili da un processore. Trasformate in apparenze, cioè rese visibili sulla superficie retroilluminata di un monitor, accendono infinite possibilità d’uso o, quantomeno, tante quante corrispondano alla volontà poietica di chi si cimentasse nella elaborazione digitale di un’immagine sintetica, attraverso la sofisticata strumentazione software oggi disponibile. Tutto ciò rafforzerebbe, non soltanto la teorizzazione di un “prima analogico” ed un “dopo digitale”, ma escluderebbe per l’universo fotografico – sistema di tecnologie, linguaggi, relazioni sociali e culture – ogni possibilità di ritorno al passato pre-numerico. E se, per la funzione pubblica della fotografia tradizionale, si parlava già di falsi e menzogne in rapporto ad una o molteplici idee di verità, l’atto fotografico – sempre più comune, diffuso e frequente perché relativamente costoso – acquista, con l’opzione post-produttiva, un marcato valore  manipolatorio. Dalla rappresentazione alla simulazione, il passo è stato breve.
Lorenzo Amaduzzi

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